Omega 3 sotto forma di olio di pesce e benefici dopo un infarto
Dopo un infarto del miocardio (attacco di cuore), se si assumono quotidianamente elevate dosi di acidi grassi omega 3 migliora notevolmente la capacità del muscolo cardiaco di pompare sangue e si riduce considerevolmente la formazione di cicatrici sull'organo. Quando un'arteria delle coronarie si ostruisce si ha la necrosi di una parte del muscolo cardiaco (evento noto come infarto miocardico), più esteso è stato l'infarto più lenta e difficile sarà la ripresa di una vita normale. Stando a quanto scoperto da un gruppo di ricercatori del Brigham and Women's Hospital e dell'Harvard Medical School di Boston, gli acidi grassi omega 3 possono migliorare considerevolmente la salute del paziente infartuato e andrebbero integrati alle altre indicazioni (tipo di dieta da seguire, farmaci e programma di attività fisica) che vengono date ai pazienti dopo le dimissione dal reparto di cardiologia. I risultati dell'indagine sono stati pubblicati su Circulation (Effect of Omega-3 Acid Ethyl Esters on Left Ventricular Remodeling After Acute Myocardial Infarction - Doi: 10.1161/circulationaha.115.019949).
Raymond Y. Kwong, coordinatore dello studio e direttore presso il reparto di cardio RM (risonanza magnetica cardiaca) al Brigham and Women's Hospital di Boston, spiega che dopo un infarto si altera la struttura e la funzionalità del cuore, una condizione nota come "rimodellamento post infartuale". Precedenti ricerche avevano rilevato che una supplementazione di acidi grassi omega-3, sotto forma di olio di pesce, poteva migliorare la sopravvivenza dei pazienti che avevano avuto un attacco di cuore, i dati a riguardo erano però incompleti e poco chiari. Le nuove informazioni hanno permesso di colmare le lacune delle indagini precedenti e hanno evidenziato che gli acidi grassi omega 3, se presi tutti i giorni per almeno 6 mesi, possono prevenire il rimodellamento ventricolare (le alterazioni a carico del cuore) e migliorano le funzionalità dell'organo.
Per condurre l'indagine sono stati arruolati 358 volontari sopravvissuti a un infarto del miocardio: 180 di essi dovevano assumere quotidianamente, per sei mesi a partire da 1 mese dopo l'attacco di cuore, 4 grammi di omega 3 sotto forma di olio di pesce, il restante campione doveva invece assumere un placebo. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti all'esame di Risonanza Magnetica prima di cominciare la terapia e dopo i sei mesi di trattamento. I livelli di omega 3 nell'organismo sono stati monitorati periodicamente attraverso delle analisi del sangue, a tutti sono state date poi le consuete indicazioni che si danno dopo le dimissioni.
Al termine dei sei mesi di follow-up, si è scoperto che le persone che avevano assunto omega-3, rispetto al gruppo di controllo, presentavano circa il 5,6 per cento in meno di tessuto cicatriziale (elemento collegato alla fibrosi cardiaca), si è inoltre rilevato che il muscolo cardiaco di tali pazienti pompava il sangue in modo più efficiente. Delle differenze sono stare rilevate inoltre anche tra i pazienti che assumevano gli omega 3. Le persone che riuscivano ad assorbire meglio l'olio di pesce, dato rilevato attraverso gli esami del sangue, presentavano una riduzione del 13 per cento del residuo di sangue nel ventricolo sinistro rispetto a una riduzione media del 6 per cento (il dato si traduce in una migliore capacità del muscolo cardiaco nel pompare il sangue).
Bobak Heydari (primo autore dello studio) spiega che nonostante i progressi farmacologici, le alterazioni nella struttura e nella funzionalità cardiaca conseguenti a un infarto possono portare ancora oggi ad uno scompenso cardiaco (più o meno grave), una delle principali complicazioni del dopo infarto. In seguito alla morte di una parte del tessuto muscolare, il cuore non è più in grado di assolvere la normale funzione contrattile di pompa e di soddisfare il corretto apporto di sangue a tutti gli organi. Anche se ora bisognerà condurre ulteriori studi, in futuro potrebbe essere consigliata l'assunzione di omega 3 a tutti pazienti infartuati per ridurre il rischio di insufficienza cardiaca.
Una delle preoccupazioni iniziali dei ricercatori riguardava l'aspetto legato alle alte dosi di omega 3 (ben 4 volte di più rispetto a studi condotti in precedenza) in associazione a farmaci anticoagulanti, si temeva infatti un incremento del rischio di emorragie. Dalle analisi non è stato però rilevato nessun effetto collaterale di questo tipo.
Sebbene gli omega 3 sono contenuti in diverse specie ittiche quali aringhe, salmone, sgombro e tonno, con la sola dieta non si riuscirebbero a garantire le dosi impiegate nel corso dello studio, per avere dei benefici bisogna quindi far ricorso ad integratori alimentari come ad esempio l'olio di pesce (l'integratore che fornisce i più alti livelli di omega tre).
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