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Scoperto come il glioblastoma sopravvie ai farmaci antitumorali

Come il glioblastoma sopravvie ai farmaci antitumorali

Una terapia antitumorale personalizzata potrebbe curare il glioblastoma multiforme (un tumore al cervello abbastanza frequente) in quei casi dove si sviluppa una farmacoresistenza. In alcuni pazienti dietro al fallimento di un trattamento antitumorale vi è lo sviluppo di resistenze agli effetti dei farmaci da parte delle cellule neoplastiche, un gruppo di ricercatori della Columbia University di New York, coordinati da Antonio Iavarone, ha però individuato il processo che aiuta il tumore al cervello a resistere alle terapie farmacologiche.

La scoperta è molto importante perché apre la strada a nuovi trattamenti che possono aggredire questi meccanismi rendendo le cellule neoplastiche vulnerabili ai farmaci. Antonio Iavarone, che da anni studia il DNA dei tumori cerebrali, nel futuro potrebbe quindi contribuire a migliorare la sopravvivenza al glioblastoma, il tumore al cervello più frequente e maligno che colpisce a tutte le età (compresi i bambini). Solo qualche mese fa un'altro studio (An ID2 - dependent mechanism for VHL inactivation in cancer - doi: 10.1038/nature16475) di Iavarone, condotto in collaborazione con la moglie e collega Anna Lasorella, aveva dato un altro contributo alla lotta al glioblastoma.

Le cellule che costituiscono una neoplasia non sono tutte uguali, una delle caratteristiche del cancro è l'instabilità genetica, un fenomeno che provoca alterazioni del corredo genetico di una cellula (mutazioni del DNA). Nelle cellule tumorali le mutazioni del DNA avvengono con una rapidità inconsueta e fanno sì che le cellule del tumore non siano mai geneticamente identiche. Quando un tumore viene esposto all'azione di un farmaco antitumorale, le cellule sensibili ai suoi effetti muoiono, ce ne sono però alcune che presentano caratteristiche genetiche diverse in grado di resistere alla terapia. Le cellule sopravissute continuano a moltiplicarsi e in breve tempo tutta la massa tumorale diventa resistente alla cura. Per contrastare questo fenomeno, nella chemioterapia si ricorre ad un cocktail di farmaci; solitamente dove fallisce uno può essere efficace un'altro, inoltre, è raro che una cellula acquisisca contemporaneamente la resistenza a più sostanze. Capita però che anche questa cura possa fallire e alcuni pazienti non possono essere sottoposti a chemioterapia, sempre più ricerche stanno quindi puntando sulla cura genetica personalizzata, una terapia che presenta anche molti meno effetti collaterali.

Iavarone, in occasione di una conferenza che si è svolta al centro di ricerca Biogem di Ariano Irpino (Avellino), spiega che inizialmente è stato esaminato il materiale genetico di quasi 1.200 tumori cosiddetti alla prima diagnosi, successivamente è stata condotta un'indagine dove si è esaminato il DNA di circa 100 tumori ricorrenti, delle neoplasie che ritornano dopo una prima fase di terapie. Quanto il tumore ritorna è più aggressivo e non è più sensibile alle terapie, questo perché, come accennato precedentemente, il tumore si è evoluto sviluppando nuove alterazioni genetiche che li rendono resistenti ai farmaci. L'indagine ha permesso di individuare alcuni processi che secondo gli autori dello studio potrebbero essere aggrediti in modo da rendere le cellule tumorali vulnerabili ai farmaci.

A differenza di altri studi che si fermano alla teoria in quanto al lato pratico danno pochi risultati, molti dei risultati ottenuti da Antonio Iavarone fanno ben sperare. Ne è un esempio la terapia intelligente messa a punto qualche anno fa la cui sperimentazione sull'uomo è iniziata nel 2015. L'esperto, dopo aver delineato la mappa genetica più completa mai realizzata per il glioblastoma multiforme, ha utilizzato un particolare farmaco, già approvato dalla FDA per altri scopi, in grado di colpire una specifica proteine prodotta da un gene anomalo, frutto della fusione patologica di due geni denominati FGFR e TACC, presente nel 3 per cento dei malati di glioblastoma. Un risultato molto importante se si pensa che attualmente per questi pazienti non esistono cure efficaci e nel 100 per cento dei casi sviluppano ricadute entro 2 anni con un'aspettativa di vita di appena 2-3 mesi.

Il risultati della sperimentazione della cura sono stati pubblicati su Cancer Clinical Research (Detection, Characterization, and Inhibition of FGFR-TACC Fusions in IDH Wild-type Glioma - doi: 10.1158/1078-0432.CCR-14-2199). Nella prima fase di sperimentazione sono stati coinvolti due pazienti colpiti da questa particolare variante di glioblastoma, nel corso dello studio si è osservato che entrambi hanno risposto particolarmente bene con una molecola che blocca una delle 2 metà (Fgfr) della proteina di fusione. Grazie al trattamento si è ottenuto un notevole miglioramento clinico e la riduzione radiologica del tumore. Le risposte cliniche sono durate rispettivamente 115 e 134 giorni, un traguardo incoraggiante visto che sono stati superati i 3 mesi.

Secondo Iavarone, se si riuscisse a mettere a punto un farmaco ancora più preciso, per esempio in grado di bersagliare anche l'altra metà (Tacc) della molecola anomala, la terapia potrebbe avere un impatto ancora più rilevante. Al momento, attraverso questa cura, si può colpire una mutazione presente nel 3 per cento dei pazienti con glioblastoma, l'obiettivo è però quello di migliorare le aspettative di vita di un maggior numero di persone. I risultati sono molto incoraggianti se si pensa che si è trovata una terapia antitumorale per una neoplasia che fino ad ora non aveva nessuna cura. La strada è comunque ancora lunga, bisogna ancora capire quale è il dosaggio giusto del farmaco, se è in grado di raggiungere il cervello (con potenziali effetti negativi) e se nel lungo periodo si può creare una certa resistenza al farmaco.


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