Tachipirina in gravidanza: dosi consigliate e conseguenze
Il paracetamolo è un antidolorifico che si può prendere durante i nove mesi di gestazione in caso di mal di testa, mal di schiena, mal di denti, ecc.. Questo farmaco non è utile solo per alleviare il dolore (effetto analgesico) ma anche per ridurre la temperatura corporea in caso di febbre (effetto antipiretico). Per chi non lo sapesse, il paracetamolo è il principio attivo di medicinali noti con il nome commerciale di Efferalgan e Tachipirina, una compressa di Efferalgan 500 o 1000 è quindi equivalente ad una di Tachipirina 500 o 1000.
La Tachipirina in gravidanza è spesso prescritta come farmaco di prima scelta per il trattamento di diversi disturbi, ciò nonostante bisognerebbe evitare l'auto prescrizione e, prima dell'assunzione, la gestante dovrebbe sempre consultare il proprio medico di base o il ginecologo. Quasi tutte le sostanze assunte dalla madre, compresi quindi anche i farmaci, possono passare attraverso la placenta e giungere direttamente al bambino. Per questo motivo è bene avere un consulto dello specialista in modo da scegliere il medicinale più indicato anche a seconda del periodo di gestazione. Alcun terapie potrebbero ad esempio essere controindicate nel primo trimestre ma non nel secondo e terzo trimestre.
Per chi volesse sapere ogni quante ore si può prendere questa medicina in gravidanza, può essere utile conoscere l'indicazione generale che fissa in 4 grammi la dose massima nell'arco delle 24 ore secondo le raccomandazioni americane, in Europa la dose massima consigliata è invece di 3 grammi (3000 mg).. Già con 5 grammi ci potrebbero essere delle gravi complicazioni al fegato.
Anche se, come spiegato in precedenza, il farmaco può passare la barriera placentare, alle dosi terapeutiche (un quantitativo minore a 4 grammi al giorno) è attualmente adoperato come farmaco analgesico di prima scelta durante la gravidanza. Il paracetamolo ha un'emivita di eliminazione, il tempo necessario affinché la concentrazione plasmatica si dimezzi, di 4-11 ore nel neonato e di 2-3 ore nell'adulto. In caso di Tachipirina 1000, si possono assumere 3 compresse al giorno con un intervallo tra le diverse somministrazioni non inferiore alle 4 ore (è sconsigliato superare il dosaggio massimo di 3 compresse al giorno).
Malattie, o situazioni, per le quali può essere prescritto il paracetamolo in gravidanza
- Artrite reumatoide (AR)
- Cefalea o mal di testa
- Dolore osteoarticolare
- Emicrania (una patologia cronica caratterizzata da ricorrenti cefalee)
- Febbre (aumento della temperatura superiore ai 38°C)
- Iperpiressia (aumento della temperatura corporea oltre 39-40°C)
- Lupus Eritematoso Sistemico (LES)
- Sciatalgia o sciatica (un dolore che si irradia sulla gamba dalla parte posteriore)
- Terapie odontoiatriche o mal di denti
- Urolitiasi (presenza di uno o più calcoli in un qualsiasi tratto delle vie urinarie)
- Herpes zoster o Fuoco di S. Antonio
- Influenza stagionale
- Neoplasie maligne
- Raffreddore
In linea di massima, il paracetamolo è uno dei farmaci che si possono prendere in gravidanza più sicuri. Se si osservano i dati disponibili in campo umano relativi al periodo del 1° e 2° trimestre, riconducibili a indagini condotte su ampi campioni di gestanti che hanno assunto Tachipirina o Efferalgan, non emerge nessuna anomalia congenita, rispetto alla media, nei nati esposti. In alcune ricerche si è però rilevato un aumento del rischio di difetti della parete addominale (gastroschisi) e criptorchidismo (la mancata discesa di uno o di entrambi i testicoli nel sacco scrotale) in neonati esposti nel primo e nel secondo trimestre a combinazioni di sostanze analgesiche (pseudoefedrina, paracetamolo, Aspirina e altri farmaci anti-infiammatori non steroidei noti comunemente come FANS). Attualmente il mondo scientifico non è però unanime su questi risultati perché potrebbero essere stati viziati da fattori confondenti.
Per quanto riguarda l'utilizzo di paracetamolo nel periodo del 2° e 3° trimestre, ci sono alcuni studi che evidenziano un possibile aumento del rischio di asma. Anche in questo caso non tutti sono però concordi a causa di alcuni fattori confondenti che potrebbero aver viziato i dati. Studi più recenti hanno invece trovato una correlazione tra l'assunzione prolungata del medicinale, 28 giorni o più, e l'alterazione dello sviluppo psicomotorio o comportamentale (iperattività , disturbo da deficit dell'attenzione, ecc.).
Ad oggi, la Tachipirina assunta a dosi terapeutiche risulta essere sicura anche in gravidanza. Non vi sono inoltre controindicazioni neanche durante l'allattamento al seno. Gli esperti mettono però in guardia, in via precauzionale, su una somministrazione dell'antidolorifico con altri farmaci come l'acido acetilsalicilico (noto anche come Aspirina), l'indometacina (Indoxen) e l'ibuprofene (Moment, Brufen, ecc.). Non bisogna inoltre dimenticarsi che l'ibuprofene, l'indometacina e l'acido acetilsalicilico ad alte dosi non devono essere assunti a partire dalla 28-30esima settimana di gravidanza perché potrebbero avere degli effetti collaterali dannosi per la circolazione fetale.
Ricerche: effetti del paracetamolo in gravidanza
Di seguito riportiamo i risultati di alcune ricerche che hanno studiato i possibili effetti correlati all'assunzione della Tachipirina in gravidanza e, più in generale, del paracetamolo. Nella maggior parte dei casi dovranno però essere confermati da ulteriori studi, attualmente non si possono quindi inserire con certezza tra i possibili effetti aversi.
Effetti sulla fertilità femminile
Una ricerca, pubblicata sulla rivista Endocrine Connections (EDC IMPACT: Is exposure during pregnancy to acetaminophen/paracetamol disrupting female reproductive development? - Doi: 10.1530/EC-17-0298), ha concluso che il paracetamolo (Tachipirina, Efferalgan, ecc. ) potrebbe compromettere la futura fertilità della prole femminile se la madre assume paracetamolo durante la gravidanza.
David Møbjerg Kristensen, coordinatore dell'indagine e ricercatore presso l'Ospedale universitario di Copenaghen, spiega che dall'analisi dei dati di tre distinti studi condotti su alcuni topolini di laboratorio si è rilevato che un'esposizione al farmaco può portare alla procreazione di una prole femminile con un numero inferiore di ovuli.
Iniziare la propria vita con un numero inferiori di ovuli non esclude la possibilità di avere figli in futuro, è tuttavia un aspetto che non deve essere sottovalutato. In ogni caso serviranno ulteriori studi per capire se ci possono essere altri effetti sulla fertilità femminile.
Effetti sulla fertilità maschile
L'assunzione del farmaco non solo potrebbe influire sulle figlie femmine ma anche sui padri. I risultati di uno studio pubblicato su Human Reproduction (Urinary paracetamol and time-to-pregnancy - Doi: 10.1093/humrep/dew172) concludono che il paracetamolo, in determinati casi, può compromettere la fertilità maschile.
Le conclusioni sono frutto di uno studio longitudinale, condotto tra il 2008 e il 2009, che ha esaminato complessivamente la fertilità di 501 copie. L'intero campione era costituito da soggetti maggiorenni (le donne avevano un'età che andava dai 18 ai 44 anni). Durante la ricerca sono stati presi in considerazione diversi fattori: stili di vita, esposizione a sostanze chimiche, ecc..
Tutti i partecipanti, all'inizio del periodo di follow up, dovevano fornire un campione di urina utile per determinare i livelli di diverse sostanze tra le quali il paracetamolo. Analizzando i risultati degli esami di laboratorio, i quantitativi di acetaminofene (la sostanza chimica alla base del farmaco appartenente alla classe degli analgesici-antipiretici) erano mediamente superiori nelle donne, ciò nonostante, non è stata rilevata nessuna associazione con una maggiore difficoltà nel rimanere incinta.
Lo stesso non valeva però nel caso in cui erano gli uomini a presentare dei valori alti di acetaminofene (o paracetamolo) nelle urine. Livelli pari o superiori a 73.5 ng/ml erano infatti associati ad una riduzione, statisticamente significativa, della probabilità di concepimento.
Anche se i risultati di questo studio sono molto interessanti e potrebbero spiegare alcuni casi di insuccesso nella procreazione, i ricercatori invitano alla cautela. Non bisognerebbe infatti saltare a facili conclusioni demonizzando un farmaco che in diverse situazioni cliniche risulta essere efficace e sicuro. Bisogna poi considerare che il l'acetaminofene non è una sostanza presente solo nella Tachipirina, si trova infatti in piccole quantità anche i diversi coloranti alimentari e in tinture utilizzate per gli indumenti e per i capelli. La "positività al paracetamolo" potrebbe quindi non derivare da un abuso del farmaco ma da un eccessiva esposizione a prodotti contenenti anilina ed acetanilide.
Ritardo nello sviluppo del linguaggio
Stando ai risultati di un'altra ricerca, condotta presso i laboratori dell'Icahn School of Medicine at Mount Sinai found di New York e pubblicata sull'European Psychiatry (Prenatal exposure to acetaminophen and children's language development at 30 months - Doi: 10.1016/j.eurpsy.2017.10.007), l'assunzione di paracetamolo in gravidanza può ritardare lo sviluppo nel linguaggio nei bambini (in particolar modo nei figli maschi).
Nello studio si parla di acetamiofene che, come abbiamo spiegato in precedenza è un altro modo di chiamare il paracetamolo (principio attivo di farmaci noti con il nome commerciale di Efferalgan e Tachipirina). L'indagine si è avvalsa dei dati 754 gestanti, che si trovavano tra l'ottava e la 13esima settimana di gravidanza, coinvolte nel Swedish Environmental Longitudinal, Mother and Child, Asthma and Allergy study (SELMA). Tutte dovevano rispondere ad una serie di domande inerenti il numero di pastiglie del medicinale che erano state assunte dal concepimento fino all'inizio dell'iscrizione allo studio, inoltre sono stati raccolti dei campioni di urine per valutare i livelli di acetamiofene. Successivamente, dopo il parto, i ricercatori hanno seguito lo sviluppo dei figli fino al 30esimo mese di vita.
Analizzando i dati si scopre che il paracetamolo è stato utilizzato da quasi 6 donne su 10 (59 per cento) e ben l'8,5 per cento dei bambini presentava qualche disturbo nello sviluppo del linguaggio. Il mancato sviluppo del linguaggio era più frequente nei bambini (12,6 per cento del totale) rispetto alle bambine (4,1 per cento del totale). Questo divario risultava però meno marcato, e in alcuni casi assente, nel caso delle bambine nate da madri che avevano assunto elevati livelli del farmaco (sei o più volte rispetto alla media) nel prima fase della gravidanza. Tali risultati portano inoltre ad ipotizzare che un uso eccessivo di acetamiofene può azzerare il vantaggio che statisticamente le bambine hanno sul linguaggio nei primi anni di vita.
I risultati dello studio sembrerebbero quindi confermare le conclusioni di altre ricerche. Già in passato, infatti, si è rilevata una riduzione del QI e maggiori problemi di comunicazione nei bambini nati da madri che hanno fatto spesso ricorso a farmaci analgesici e antipiretici, quali Tachipirina ed Efferalgan, in gravidanza. Shanna Swan, coordinatrice dell'indagine, spiega che il loro intento non è quello di creare inutili allarmismi ma, considerato l'ampio uso che si fa di questo farmaco, sensibilizzare le persone a non abusarne sopratutto in periodi delicati come la gravidanza. Ulteriori informazioni saranno disponibili fra qualche anno, nell'ambito dello studio SELMA tutti i bambini saranno infatti seguiti fino al compimento del settimo anno di vita.
Un aspetto importante da tenere in considerazione è che l'aumento del rischio sembra essere direttamente proporzionale alla durata dell'esposizione. Se quindi non si può fare a meno di assumere il paracetamolo durante la gravidanza, bisognerebbe almeno limitare il trattamento farmacologico al minimo indispensabile.
Paracetamolo e autismo
Sono diversi gli studi che hanno associato un uso persistente del paracetamolo durante la gravidanza ad un maggior rischio di sindrome di Asperger e altre forme di autismo. Una delle ultime indagini che ha studiato questo fenomeno è quella condotta dal Creal Institute di Barcellona. I risultati sono stati pubblicati sull'International Journal of Epidemiology (Acetaminophen use in pregnancy and neurodevelopment: attention function and autism spectrum symptoms - Doi: 10.1093/ije/dyw115).
I dati sono il risultato di uno studio di coorte che ha coinvolto un campione di 2644 mamme con i relativi figli. Le donne dovevano rispondere ad una serie di domande relative all'assunzione del paracetamolo, tutte sono state successivamente divise in tre gruppi:
- donne che non avevano mai preso paracetamolo durante la gravidanza
- donne che hanno assunto saltuariamente paracetamolo
- donne che hanno fatto un uso regolare del paracetamolo durante le prime 32 settimane di gestazione
Mediante diversi test psicologici, i bambini sono stati successivamente valutati all'età di 5 anni. Incrociando i dati si è così potuto constatare che quelli nati da madri che avevano assunto paracetamolo, in particolar modo nei casi dove la frequenza del ricorso al farmaco era maggiore, avevano una probabilità maggiore (di circa il 30 per cento) di manifestare alcuni sintomi tipici dell'autismo. In entrambi i sessi c'era una certa associazione tra l'esposizione al paracetamolo in età prenatale e deficit di attenzione, iperattività e velocità di elaborazione, i maschi ottenevano però dei punteggi più alti per quanto riguarda il Childhood Autism Spectrum Test (CAST). Si tratta di un questionario utilizzato per individuare eventuali alterazioni che potrebbero indicare un maggio rischio di sindrome di Asperger e di altre forme di autismo.
Gli stessi autori dello studio evidenziano però che i dati ottenuti non sono in grado di dimostrare l'esistenza di un nesso lineare fra l'utilizzo di paracetamolo in gravidanza e l'insorgenza nei figli di disturbi dello spettro autistico o ADHD. Ci sono infatti diversi limiti metodologici e non si è tenuto conto di altri fattori ambientali o genetici che potrebbero influire sulla salute dei piccoli. Nello studio non è stata inoltre considerata con precisione la dose del farmaco in quanto le donne, nella maggio parte dei casi, non sono state in grado di indicare i quantitativi ma riferivano unicamente se facevano un uso sporadico o persistente.
Attualmente le prove scientifiche non sono quindi sufficienti per sostenere un legame di causa-effetto. Senza sminuire i potenziali effetti avversi della Tachipirina, che in concomitanza con altri farmaci e/o in presenza di alte dosi sono appurati, non è necessario modificare le attuali raccomandazioni. Per quanto riguarda il legame con l'autismo bisognerà però condurre ulteriori studi che serviranno anche a valutare in maniera più precisa quale potrebbe essere una dose di farmaco potenzialmente pericolosa.
section>Approfondimenti sull'argomento
Cerca nel sito
Se non hai trovato quello che ti serve, o vuoi maggiori informazioni, utilizza il motore di ricerca