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Cancro alla prostata e trattamento con radiofarmaco (Ra-223) - Il trattamento con un particolare radiofarmaco, il Radio-223 dicloruro (Ra-223), può prolungare la sopravvivenza dei pazienti che presentano un cancro...

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Cancro alla prostata e trattamento con radiofarmaco (Ra-223)

Cancro e trattamento con radiofarmaco (Ra-223)

Il trattamento con un particolare radiofarmaco, il Radio-223 dicloruro (Ra-223), può prolungare la sopravvivenza dei pazienti che presentano un cancro alla prostata con metastasi. Il Radio-223 dicloruro (Ra-223) si è dimostrato efficace nei pazienti affetti da tumore della prostata con metastasi ossee, esso contribuisce infatti ad incrementare del 30 per cento il tasso di sopravvivenza globale. L'efficacia del farmaco è stata riconosciuta anche dall'Agenzia Italiana del Farmaco e diventerà a totale carico del sistema sanitario. Il Radio-223 dicloruro è un farmaco di fascia H (per la precisione lo dovrebbe diventare entro la fine del 2015), una classe di farmaci in uso solo in strutture ospedaliere che non possono essere venduti nelle farmacie pubbliche.

Onelio Geatti, presidente dell'Associazione medicina nucleare ed imaging molecolare, spiega che ora si potrà avere a disposizione una nuova cura innovativa ed efficace contro il tumore più diffuso tra gli uomini italiani. Solo nel 2014 nel nostro paese sono stati diagnosticati 36mila nuovi casi di cancro alla prostata, l'approvazione da parte dall'Agenzia Italiana del Farmaco è quindi un ottima notizia che potrà migliorare notevolmente la cura della neoplasia.

I radiofarmaci sono molecole che contengono al loro interno un radionuclide (un atomo radioattivo) e possono essere utilizzati sia a scopo diagnostico sia terapeutico. Un radiofarmaco è costituito da due componenti: il carrier, ossia una molecola con funzioni biologiche di trasporto, ed il nuclide radioattivo. Fino a poco tempo fa i radiofarmaci erano utilizzai unicamente per trattare il tumore della tiroide, la neoplasia viene infatti trattata efficacemente con lo Iodio radioattivo (o Iodio 131) che oggi viene comunemente utilizzato dopo la rimozione chirurgica della ghiandola in tutti quei pazienti in cui si ritiene sia necessario eliminare le eventuali cellule cancerose residue dopo l'intervento. Ora si aprono nuovi orizzonti nella terapia di una neoplasia che provoca più di 7.500 decessi l'anno.

La terapia con il radiofarmaco Ra-223 ha un'azione specifica sulle metastasi ossee, rispetto ad altre cure non provoca danni evidenti al midollo osseo e, oltre ad incrementare la sopravvivenza (in media del 30 per cento), migliora in modo significativo la qualità della vita dei pazienti. Con l'utilizzo del radiofarmaco Ra-223 si riesce a ridurre notevolmente il dolore osseo, un fattore che contraddistingue questa neoplasia.

Maria Luisa De Rimini, presidente del XII Congresso Nazionale AIMN (Rimini - Aprile 2015), spiega che la medicina nucleare è sicura, i farmaci utilizzati vengono di solito somministrati con iniezione in vena. Il Ra-223 espone il paziente a dosi di radioattività estremamente basse e il suo impatto nell'ambiente è quasi pari a zero. Ciò nonostante, l'idea che siano iniettati nell'organismo atomi radioattivi spaventa molti pazienti. Gli esperti evidenziano però che i radiofarmaci alfa emittenti hanno la capacità di legarsi e agire solo sui tessuti malati, risparmiando tutto ciò che sta attorno. Per evitare eventuali dispersioni o problemi alle persone, che vivono vicino al paziente, è sufficiente seguire alcuni piccoli accorgimenti nei primi giorni del trattamento.

Regole da seguire dopo un trattamento con i radiofarmaci

Per un breve periodo , che può andare in alcuni casi dai 2 ai 5 giorni, il paziente viene ricoverati in apposite camere di degenza, dove smaltisce i livelli di radioattività fino a quelli considerati accettabili (secondo le vigenti normative). Dopo tale periodo il paziente può tornare al proprio domicilio seguendo alcune semplici precauzioni per quanto riguarda il contatto con altre persone e le norme di vita quotidiana. Poiché la maggior parte della radioattività viene eliminata con le feci (solo una minima quota con le urine) per una settimana dalla somministrazione andando in bagno i pazienti dovranno prestare particolari attenzioni. E a scopo precauzionale si suggerisce di ridurre al minimo i contatti a distanza ravvicinata con le donne in stato di gravidanza rimanendo e i bambini di età inferiore a dieci anni.


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