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Percezione del dolore e analgesia - Si può alzare la soglia del dolore? Si, perchè l'attesa della sofferenza condiziona gli stimoli dolorosi

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Percezione del dolore fisico e analgesia

Percezione del dolore

Un gruppo di scienziati, della Wake Forest University School of Medicine di Winston-Salem, ha condotto alcuni studi relativi alla percezione del dolore da parte del cervello. In base ai risultati ottenuti si è arrivati alla conclusione che: l'attesa della sofferenza condiziona gli stimoli dolorosi. Sfruttando alcune tecniche è quindi possibile aumentare la soglia del dolore individuale e, in alcuni casi, si potrebbe ridurre il ricorso ai farmaci analgesici.

Lo studio è stato pubblicato nella prestigiosa rivista scientifica Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS) con il titolo: "L'esperienza soggettiva del dolore: dove le aspettative divengono realtà" (The subjective experience of pain: Where expectations become reality - DOI: 10.1073/pnas.0408576102).

Si è concluso che, quando ci si aspetta uno stimolo meno doloroso di quello che in realtà ci attende, è possibile percepire fino al 28% in meno del dolore. La stessa riduzione che si otterrebbe con una dose di morfina. Tale esperimento conferma alcune evidenze scientifiche rilevate in precedenza da altri ricercatori. Il dolore fisico non deriva solo da uno stimolo fisico ma dipende anche da cosa ci aspettiamo.

Percezione del dolore

I risultati sono frutto di una sperimentazione condotta su dieci volontari sani ai quali è stato applicato un apparecchio in grado di produrre uno stimolo, di tipo termico, doloroso ma non nocivo. Durante la fase di stimolazione, l'attività cerebrale è stata monitorata mediante la risonanza Magnetica Nucleare funzionale (fMRI).

A tutti i soggetti, nella fase preliminare della sperimentazione, è stato inizialmente insegnato ad accoppiare l'intensità dello stimolo doloroso (forte, medio o lieve) con l'intensità di un segnale che anticipava lo stimolo. Si è così potuto constatare che a una riduzione dell'intensità dello stimolo, e quindi dell'aspettativa di dolore, diminuiva proporzionalmente l'attivazione di alcuni centri cerebrali quali: talamo, insula, corteccia prefrontale e corteccia anteriore del cingolo.

Durante la fase vera e propria della sperimentazione, alcuni stimoli dolorosi "forti" sono stati fatti precedere, senza che il soggetto ne fosse consapevole, da un segnale di lieve intensità. In questi casi, lo stimo doloroso più forte produceva un'attivazione delle aree cerebrali (insule, corteccia somatosensoriale e corteccia anteriore del cingolo) e un'esperienza soggettiva riferita di dolore inferiore, mediamente, del 28% rispetto a quando uno stimolo di uguale intensità era preceduto da un segnale appropriato. In pratica, un dolore di forte intensità preceduto da un'aspettativa di dolore lieve contribuisce a ridurre la percezione del dolore di quasi un terzo.

Come accennato, questa non è l'unica indagine sull'argomento. Anche altri ricercatori hanno condotto degli studi sulla percezione del dolore. In uno di questi, per condurre l'esperimento, alcuni pazienti sono stati divisi in due gruppi: al primo è stata data una pillola che avrebbe dovuto aumentare di molto la resistenza al dolore, al secondo una pillola che avrebbe aumentato la resistenza al dolore ma in maniera molto inferiore.

Ad entrambi i gruppi sono stati applicati degli elettrodi che davano delle leggere scosse elettriche, l'intensità della scossa è stata divisa in 7 livelli, 1 più basso e 7 più alto. Tutti i pazienti che hanno preso la pillola per resistere maggiormente al dolore sono arrivati al 7° livello della scossa, la maggior parte dei membri dell'altro gruppo si è fermata al 4° livello dicendo di percepire un dolore insostenibile.

In realtà, a entrambi i gruppi, era stata data la stessa pillola che non aveva alcun effetto contro il dolore. L'aspettativa di quello che avrebbero provato ha però modificato la percezione del cervello.

Soglia del dolore

Queste scoperte aprono nuove strade verso la lotta al dolore che non si basano su farmaci che alla lunga potrebbero diventare inutili, ma sulla psicoterapia. Sempre più studi confermano il ruolo dell'ansia nell'aumento dell'attenzione, e di conseguenza nell'anticipazione e nell'amplificazione del dolore. Di converso si è osservato anche che la "distrazione" può avere un ruolo nel ridurre l'attività cerebrale innescata dal dolore.

Grazie all'effetto placebo si è riusciti a studiare diversi processi psicofisiologici nella modulazione del dolore. Si è così scoperto che l'azione della psiche sui sistemi biologici dipende dall'interazione fra rappresentazioni mentali (aspettativa e anticipazione di analgesia) e diversi sistemi neuronali. Meccanismi simili, in alcuni casi, a quelli attivati dai farmaci. Questo dimostra che a volte ci può essere una similarità di azione tra interventi farmacologici e psicologici.

Mediante la tecniche di imaging, è stato dimostrato che esiste una certa corrispondenza anatomica fra l'azione del farmaco e l'analgesia da placebo. In entrambi i casi si attivano gli stessi recettori oppioidi. Ovviamente, nel caso del placebo, sono i peptidi oppioidi endogeni che si "attivano" e saturano con le loro molecole questi recettori.

Oggi è ormai confermato che il placebo può avere un effetto antalgico. Non solo c'è un'azione attiva prodotta da una sostanza priva di effetti farmacologici ma, mediante l'effetto placebo, ci può anche essere un incremento dell'efficacia del farmaco. Proprio per questo motivo ci sono alcune linee guida internazionali, come quelle dell'Associazione delle società Medico-Scientifiche tedesche (AWMF), che, nella gestione del dolore, suggeriscono l'adozione di strategie capaci di innescare l'effetto placebo e di evitare l'effetto nocebo.

Ci sono comunque dei casi cronici dove non si può fare a meno dei farmaci nella terapia del dolore, in queste situazioni ci potrebbe però essere un'alternativa alla morfina con meno effetti collaterali.


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