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Artrite reumatoide: le possibili cause

Artrite reumatoide: le possibili cause

Fino ad oggi la causa dell'artrite reumatoide era ignota, grazie a numerose ricerche si è scoperto che un'alterazione immunitaria poteva essere la chiave di tutto ma le informazioni in merito erano ancora molto poche. Finalmente, grazie ad un gruppo di ricercatori dell'Università Cattolica di Roma, sembra si sia individuata la chiave scatenante, un particolare gruppo di cellule T. I dettagli della scoperta sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Arthritis Research & Therapy (Dicembre 2008).

L'artrite reumatoide è una malattia cronica, destinata cioè a durare per tutta la vita, di tipo autoimmune (una malattia caratterizzata dal fatto che le difese immunitarie del nostro organismo, invece di attaccare gli agenti patogeni esterni, colpiscono le cellule che dovrebbero difendere). E' una malattia che può presentarsi a ogni età anche se ha dei picchi tra i 35 ed i 50 anni. L'artrite reumatoide colpisce prevalentemente le donne con un rapporto maschi femmine di 1 a 4.

Francesco Ria, uno degli autori della ricerca e professore associato dell'Istituto di Patologia generale dell'Università Cattolica di Roma, spiega che fino ad oggi non esisteva un metodo per seguire i linfociti T nei pazienti autoimmuni, benché questi siano sempre stati ritenuti responsabili dell'insorgere della malattia. Grazie ad uno studio condotto su delle cavie da laboratorio, si è riusciti a trovare il modo per seguire le cellule T responsabili dell'artrite reumatoide anche nell'uomo.

L'artrite reumatoide distrugge per prima la cartilagine, una specie d'impalcatura fatta di proteine, successivamente i tessuti dentro e intorno alle articolazioni e spesso perfino la superficie delle ossa. Gianfranco Ferraccioli, professore ordinario di reumatologia all'Università Cattolica, spiega che una delle proteine più importanti della cartilagine è il collagene. Questa proteina è sempre stata ritenuta l'obiettivo contro cui la reazione autoimmune nell'artrite reumatoide si scatenava. Per individuare quali cellule T fossero associate alla malattia si è utilizzato un peptide, un pezzo particolare del collagene. L'individuazione delle cellule T è stata resa possibile da una nuova metodica, già brevettata e in attesa del riconoscimento internazionale, molto più sensibile delle tecniche utilizzate fino ad ora.

A partire da quanto osservato sul primo paziente, i ricercatori hanno scoperto che anche gli altri pazienti utilizzano per circa i tre quarti le stesse famiglie di cellule T. Non solo, anche i parenti sani dei malati possiedono cellule T specifiche per il collagene che però sono di tipo leggermente diverso rispetto a quelle presenti nei soggetti che sviluppano l'artrite. Un'ulteriore conferma è arrivata anche da un'analisi successiva, quando la malattia scompare in seguito alla terapia, scompaiono anche questi gruppi di cellule T.

Il professore Francesco Ria spiega che grazie a questa tecnica si riesce a seguire l'andamento clinico dei pazienti ma non solo, sembra sia anche possibile prevedere le ricadute in quanto le cellule scatenanti ricompaiono prima ancora che il paziente mostri i sintomi della malattia. L'efficacia predittiva del test deve essere però confermata da ulteriori studi, in caso positivo si tratterebbe di uno strumento diagnostico formidabile se si considera che i danni più gravi e irreversibili avvengono nella prima fase della patologia.


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