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Dieta ipoproteica per vivere più a lungo

Dieta ipoproteica per vivere più a lungo

Ridurre l'apporto di proteine nella dieta potrebbe giocare un ruolo fondamentale nell'allungare la durata della vita umana, molto di più e molto meglio di una dieta ipocalorica o iperproteica, anche se ricca di nutrienti essenziali (vitamine e sali minerali). Il motivo? Riesce ad abbassare significativamente i livelli del cosiddetto fattore di crescita insulino simile -1 (IGF-1), un potente fattore di crescita che gioca un ruolo cruciale nel modulare la durata della vita negli animali da esperimento. Ad affermarlo sono gli studiosi della Washington University School of Medicine di St. Louis, coordinati da Luigi Fontana, direttore del reparto di Nutrizione ed Invecchiamento presso l'Istituto Superiore di Sanità e visiting professor presso la Washington University School of Medicine negli USA, che hanno da poco pubblicato uno studio su Aging Cell, la più importante rivista di biologia dell'invecchiamento.

"Nell'uomo, a differenza dei topolini da esperimento, potrebbe non essere necessario tagliare drasticamente le calorie per poter invecchiare in salute. Potrebbe esser sufficiente associare ad una lieve-moderata restrizione calorica una riduzione della quantità di proteine presente nella propria alimentazione. E oltretutto è anche più facile rispetto al dover elaborare e seguire tutta la vita un regime di restrizione calorica che taglia del 20-30 per cento l'apporto calorico giornaliero", afferma Fontana. "In genere, i nutrizionisti non si preoccupano troppo se mangiamo molte proteine, dando più peso al quantitativo di grassi e zuccheri. Il nostro studio suggerisce invece di stare attenti proprio alla Razione Giornaliera Raccomandata (RDA) di proteine, che attualmente è di 0.82 grammi per chilo di peso, corrispondente a circa 56 grammi di proteine per un uomo adulto e a 46 per una donna. La nostra ipotesi, da verificare in ricerche future, è quella di limitare l'introito proteico a 0.7 o 0.8 grammi per chilo di peso al giorno se si vuole ridurre il rischio di sviluppare alcune forme di cancro ed aumentare le possibilità di vivere una vita lunga e in salute".

Nei loro precedenti studi, i ricercatori della Washington University avevano appurato che la restrizione calorica severa (RC) allungava del 50 per cento la vita degli animali da laboratorio e, sulla base di tali risultati, un gruppo di persone appartenenti alla Caloric Restriction Society, soprannominatesi CRONies (Calorie Restriction with Optimal Nutrition), avevano adottato un severo regime di RC per un periodo medio di 7 anni. Tuttavia, se in questo periodo gli indici del rischio cardiovascolare (la pressione arteriosa, la glicemia, il colesterolo, etc.) si sono tutti notevolmente abbassati, suggerendo anche in questo caso un vantaggio in termini di longevità, nello studio attuale i ricercatori hanno osservato per la prima volta che i livelli IGF-1, che negli animali in restrizione calorica si abbassano del 30-40 per cento, nei CRONIES rimanevano invariati e sostanzialmente identici a quelli di chi segue una tipica dieta occidentale e fa vita sedentaria.

A questo punto, gli studiosi hanno organizzato un trial clinico, il CALERIE study (Comprehensive Assessment of the Long Term effects of Reducing Intake of Energy), per comparare la RC all'attività fisica e misurare così vari fattori biologici legati alla salute e alla longevità. Hanno suddiviso 48 persone in 3 gruppi: 18 hanno tagliato, seguendo una dieta di RC, del 25 per cento il loro introito calorico per un anno, altri 18 hanno cominciato a fare esercizio fisico giungendo a bruciare il 25 per cento di calorie in piu' sempre per un anno, e 10 non hanno cambiato le loro abitudini. Di nuovo il livello di IGF-1 non aveva subìto variazioni nel gruppo sottoposto a RC.

"Ma noi sapevamo che 2 fattori influenzano i livelli circolanti di IGF-1: l'introito calorico e quello proteico - spiega Fontana - Sapevamo dai diari alimentari dei CRONies che questo seguivano una dieta ipocalorica però ricchissima in proteine (24 per cento delle calorie provenivano dalle proteine). Così abbiamo deciso di studiare il secondo: all'interno dei CROnies è stato selezionato un ristretto gruppo (6 persone) che per tre settimane hanno ridotto del 50 per cento l'apporto proteico. Non è stato facile tagliare le proteine, mantenendo invariate le stesse calorie, perché nella RC è necessario fare numerosi calcoli a garanzia di un regime che sia sì ipocalorico, ma al tempo stesso bilanciato. Questa volta però, dopo tre settimane, l'IGF-1 si è abbassato notevolmente".

"Con questo studio abbiamo dimostrato per la prima volta - continua Fontana - che l'introito proteico nell'uomo, a differenza dei topolini da laboratorio, e' un fondamentale regolatore dei livelli circolanti di IGF-1". Alti livelli di IGF-1 nel sangue sono associati ad un aumentato rischio di sviluppare cancro al colon, alla mammella, e alla prostata. Recenti studi in animali da esperimento hanno ripetutamente dimostrato che bassi livelli di IGF-1 sono anche essenziali per rallentare i processi d'invecchiamento. "Il problema - conclude Fontana - è che la maggior parte degli italiani mangia il 30-50 per cento in più delle proteine che viene raccomandato dal RDA. Le implicazioni sul rischio di sviluppare cancro e sulla longevità potrebbero essere importanti. E' un obiettivo primario del nostro Istituto capire a fondo le implicazioni di questi fattori dietetici sulla salute dei nostri cittadini"


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